La modernità ha trasformato il lavoro in un vestito che non riguarda più l’identità. Il lavoro stesso, come intuito da Marx, è ridotto a merce da vendere. Ma ben diversa è la visione tradizionale, secondo la quale ciascuno deve normalmente svolgere la funzione cui è destinato dalla sua stessa natura, “con le attitudini che questa essenzialmente implica; e non può svolgerne un’altra, senza che ciò rappresenti un grave disordine che avrà una ripercussione su tutta l’organizzazione sociale di cui egli fa parte; peggio ancora, se un disordine del genere viene a generalizzarsi. I mestieri “meccanici” dei moderni, che costituisco l’industria propriamente detta e che altro non sono se non un prodotto della deviazione profana, non possono offrire alcuna possibilità d’ordine iniziatico ed anzi possono rappresentare dei veri impedimenti allo sviluppo di ogni spiritualità. Per la verità del resto, non possono nemmeno essere considerati come autentici mestieri, se si vuol conservare a questo termine il suo valore in senso tradizionale.” R. Guénon, Il regno della quantità e i Segni dei Tempi
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